Grazie ai documenti presenti nell’Archivio della famiglia Caracciolo di Torella, oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli ed altri conservati presso l’Archivio di Stato di Potenza, l’Archivio Parrocchiale della chiesa di Santa Maria Assunta e l’Archivio storico del Comune di Ruvo del Monte, attraverso l’analisi e il loro studio intertestuale, possiamo ricostruire l’assetto urbanistico e la vita sociale a Ruvo del Monte nel XVIII secolo. Di particolare rilevanza e punto di partenza per la nostra ricerca sono gli “apprezzi”. Nell’Archivio della famiglia Caracciolo di Torella, sono conservati 11 documenti tra apprezzi e platee riguardanti la zona del Vulture-Melfese. Uno di questi apprezzi riguarda il nostro paese. Questo materiale cartaceo è una fonte particolarmente significata per conoscere le province del Regno di Napoli. Questi documenti, principalmente di tipo economico, venivano redatti dai cosiddetti “Tavolari Regi”, alti funzionari appartenenti a un corpo speciale del Sacro Regio Consiglio, in occasione, soprattutto, delle vendite di un feudo. La loro consultazione ci permette di costruire la storia sociale, artistica e religiosa collegata ad un determinato territorio. Infatti al loro interno è possibile reperire informazioni inerenti le vie, gli edifici ed i luoghi che avevano una certa utilità sociale come forni, botteghe e fontane.
I Caracciolo di Torella e Ruvo del Monte
Prima di entrare nel vivo della ricerca, dobbiamo soffermaci ed analizzare, a grandi linee, la storia della famiglia Caracciolo di Torella e di come siano entrati in possesso della terra di Ruvo. La famiglia Caracciolo è stata una tra le famiglie più antiche, illustre e nobili del Regno di Napoli. Sul finire del XIII secolo si divise in due grossi rami: quello dei Rossi e Pisquizi e quello dei del Sole. Il capostipite del ramo dei Rossi fu Giovanni Caracciolo detto il Rosso. Dai figli di Giovanni Caracciolo discendono quei rami che si diffusero parallelamente ai Rossi come i Cancella, i Caracciolo di Capua e di Avellino. Da quest’ultimi discendo i Principi di Torella. La famiglia Caracciolo di Torella possedette per lungo tempo i territori posti nella parte settentrionale della Basilicata, in particolar modo nella zona del Vulture-Melfese. Il primo esponente di casa Torella, a legare il proprio nome alla Basilicata, fu Domizio Caracciolo che nel 1551 comprò la terra di Torella per 31 mila ducati. Nel XVII secolo abbiamo gli acquisti più rilevanti della famiglia nella zona del Vulture-Melfese. Ad esempio nel 1643 fu comprata la terra di Rapolla. Successivamente fu acquisita la terra di Rionero e quella di Atella. Nel 1677 i Caracciolo di Torella entrarono in possesso di Lavello e nel 1698 della città di Venosa. L’ultimo territorio in ordine di tempo acquisito dalla famiglia sembra essere proprio il nostro Ruvo del Monte. Il primo pagamento di 39.540 ducati risale al 1764, mentre la data dell’acquisizione vera e propria dovrebbe essere nel 1768 anche se, nella platea generale dell’amministrazione del Principe di Torella del 1835, viene riportata la data dell’acquisizione all’incirca nel 1770.
Ruvo del Monte anticamente era un feudo di proprietà della famiglia Gesualdo. Secondo Lorenzo Giustiniani, erudito, viaggiatore e biografo del Regno di Napoli, nel 1453 il re Alfonso I donò la terra di Ruvo a Raimondello Gesualdo per la morte di Antonio Gesualdo. La famiglia Gesualdo possedette per lungo tempo il territorio di Ruvo. Secondo la platea generale dell’amministrazione del Principe di Torella, gli ultimi signori di Ruvo della casa Gesualdo furono Francesco e Fabio Gesualdo. Dopo di loro, per diverso tempo, la terra di Ruvo fa data in affitto a diverse persone fino al momento in cui fu comprata dal Principe di Ruoti, Luigi Capece-Minutolo. Fu proprio Luigi Capece-Minutolo a vendere Ruvo del Monte ai Caracciolo di Torella.
L’aspetto urbanistico e morfologico di Ruvo del Monte nel XVIII secolo
Come era quindi l’aspetto urbanistico e morfologico di Ruvo del Monte nel XVIII secolo? Nella relazione dell’apprezzo si evince che il paese, come del resto ancora oggi, era stato edificato sopra la collina di un monte e aveva una forma bislunga. Questa forma bislunga del borgo la ritroviamo rappresentata iconograficamente anche in una cartina aragonese della seconda metà del XV secolo conservata nella Bibliothèque nationale de France.
Questo ci fa presumere, verosimilmente, che dopo il terremoto del 8 settembre 1694, che distrusse quasi tutto il paese e provocò circa 400 morti, il nuovo borgo sia stato edificato sullo stesso sito del vecchio mantenendone la sua forma bislunga. Il nuovo borgo era attraversato da una larga strada selciata ai lati della quale sorgevano le abitazioni. Percorrendola, avremmo potuto notare la presenza di una fitta rete di stradine piccole e pendenti che si intersecavano con essa. Queste “stradette”, secondo la relazione dell’apprezzo, d’inverno erano quasi sempre fangose. Secondo l’apprezzo il borgo era distante circa 138 miglia dalla Capitale del Regno di Napoli. Il paese era composto principalmente da abitazioni basse anche se nell’apprezzo si evince comunque la presenza di due o tre “case civili” e una ventina di “case comode”. Il borgo era dominato dalla torre e dal castello. A quest’ultimo si poteva accedere attraverso due ingressi. Il primo situato nella parte alta (oggi Piazza Cavour) fronteggiante la “fontana vecchia”. Il secondo collocato nella parte bassa attraversando il borgo. Al centro del borgo si erigeva la chiesa madre sotto il titolo dell’Assunta. Nella relazione dell’apprezzo vengono menzionati anche altri edifici religiosi come: la chiesa di S. Anna, la chiesa di San Nicola, la chiesa di San Carlo Bartolomeo, la cappella di San Bernardino, la cappella dell’Annunziata ed il Convento di San Tommaso (oggi Convento di Sant’Antonio). L’analisi di questi edifici religiosi sarà affrontata nel prossimo articolo. Il territorio circostante era prettamente a carattere montuoso e collinare ed era adibito al pascolo ed alla semina delle colture principali. Grazie alla platea del Convento di San Tomasso del 1756, conservata presso l’Archivio Parrocchiale della chiesa di Santa Maria Assunta, sappiamo che il territorio di Ruvo erano caratterizzato della presenza di vari tratturi regi. Nella platea ne vengono menzionati alcuni come quello della “Cupa” che conduceva verso il paese vicino di Atella, quello della “Costa dell’Olivio” ed il tratturo verso il fiume Liento.
La vita sociale a Ruvo del Monte nel XVIII secolo
Alla base della vita sociale di Ruvo del Monte nel XVIII secolo vi era, sicuramente, l’aspetto religioso. Nel XVIII secolo, a Ruvo, si svolgevano le feste, con relativa processione, di San Rocco, della Santissima Annunziata, di San Sebastiano, San Biagio e di Sant’Antonio. Dal 1783 in poi anche quella di San Donato Martire. Nel borgo era presente anche la Congregazione di San Giuseppe. Questa congregazione, risalente alla fine del 1600, contava nel XVIII secolo circa 200 iscritti. La congregazione si riuniva nell’attuale chiesa di San Giuseppe. La vita spirituale-religiosa a Ruvo del Monte era gestita dal vescovo di Muro, diocesi suffraganea alla diocesi di Conza. Viceversa il potere temporale era gestito dal Governatore eletto dal Principe. L’Università di Ruvo era governata dal sindaco e dagli “eletti”. Erano presenti anche quattro Giurati eletti dall’Università stessa: due prestavano la loro attività lavorativa presso la Baronale Camera mentre gli altri due presso l’Università di Ruvo.
Passando ad analizzare il tessuto urbanistico-sociale del paese, possiamo notare come nel 1737 il numero dei fuochi era di 221 per un totale di 1817 abitanti. La maggior parte dei ruvesi erano braccianti e coltivavano la terra mentre, solo una esigua parte di loro, erano massari di campo. Inoltre nel XVIII secolo si registra, nel borgo, anche la presenza di due dottori in legge, due medici, due speziali, due notai, un chirurgo, un maestro di scuola, sette calzolai, nove falegnami, tre fabbri e una ostetrica. Sempre secondo la relazione dell’apprezzo gli abitanti di Ruvo vestivano comodamente e andavano in giro tutti calzati. Le donne ruvesi avevano il compito di tessere i panni di lana o di lino e di filare a mano. Inoltre erano proprio le donne ruvesi ad avere il compito di andare a fare la legna nei boschi e nel XVIII secolo gli abitanti di Ruvo avevano lo jus di legnare nel bosco delle Maurelle. Era il territorio circostante l’abitato che garantiva il mantenimento dei nostri avi. Si coltivava, principalmente, il grano, le fave, i ceci, l’orzo e l’avena. Il vino era prodotto in grande quantità tant’è che i ruvesi ne vendevano una parte di esso ai forestieri, in particolar modo agli abitanti di Calitri. Esisteva anche una forma di commercio, a carattere principalmente di baratto, come evidenzia il Giustiniani, con gli abitanti di San Fele, Rapone e Atella. Inoltre erano presenti nel territorio varie tipologie di alberi fruttati come si evince dalla platea del Convento. Nel borgo come unità di misura veniva utilizzata la “meliede”. Quindici “meliede” corrispondevano a un tomolo. Il grano, a seconda delle annate, era venduto da un minimo di 6 carlini ad un massimo di 12 carlini per tomolo. Grazie ad ulteriori ricerche condotte presso l’Archivio storico del Comune di Ruvo del Monte, si evince l’istituzione di un monte frumentario nel borgo. I monti frumentari vennero istituiti alla fine del XV secolo (ebbero una notevole diffusione tra il XVI e il XVII secolo) con lo scopo di distribuire il grano per la semina ai contadini poveri con il contestuale obbligo di restituzione. La loro funzione era quella di supporto al ciclo agrario. A Ruvo il monte frumentario, sotto il titolo di monte frumentario Ferrante, fu fondato il 15 settembre 1720 da D. Consalvo Ferrante. Il monte nacque per soccorrere i contadini poveri e dare anche un sostegno per il maritaggio. All’inizio il monte possedeva un’estensione di terra pari a 60 tomoli e produceva una rendita annua di 36 tomoli di grano. Oltre il monte frumentario Ferrante, le attività di assistenza e di beneficenza per i poveri venivano svolte dalle cosiddette opere pie. Le opere pie costituirono fino all’inizio del XX secolo uno dei pilastri dei servizi assistenziali e sociali in Italia. Grazie alle ricerche condotte presso l’Archivio storico del Comune di Ruvo del Monte e l’Archivio di Stato di Potenza, sappiamo che queste attività di utilità sociale nel borgo veniva svolte dalle cappelle del Santissimo Sacramento, del Santissimo Rosario, dell’Annunziata e dalla cappella del Sacro monte dei morti. Nel borgo, come luoghi di utilità sociale, vengono descritti nell’apprezzo, due forni baronali e un forno non baronale. Gli abitanti di Ruvo nei due forni baronali portavano a cuocere il pane che facevano nelle loro abitazioni. Sono altresì menzionate due fontane pubbliche. La prima si trovava sopra il castello mentre la seconda era dentro il borgo. Esistevano anche tre mulini. Due erano situati nell’attuale zona denominata “Molino”. Questi mulini prendevano l’acqua dal torrente Bradano ed erano utilizzati dagli abitanti di Ruvo del XVIII secolo per la macina del grano. L’altro mulino invece si trovava verso il confine con Calitri e prendeva l’acqua dalla fiumara di Atella. Veniva poco utilizzato dai ruvesi a differenza degli abitanti di Calitri che vi si recavano quando mancava l’acqua nei loro mulini. Nell’apprezzo si parla anche della presenza nel territorio di Ruvo del Monte di una gualchiera che veniva utilizzata dai ruvesi per il lavaggio dei panni e per la loro stesura.
dott. Massimiliano Mattei
Bibliografia
Ammirato Scipione, Delle famiglie nobili napoletane vol.1, Giorgio Marescotti, MDLXXX, Fiorenza, 1580.
Baratta Mario, I terremoti d’Italia vol. I, ed. Fratelli Bocca, Torino, 1901.
Ciampa Giuseppe, Ruvo del Monte – notizie storiche, tipografia Casa del Sacro Cuore, Foggia, 1959.
Giustiniani Lorenzo, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli tomo VIII, Napoli, 1804.
Romano Marcello, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella come fonte per la ricostruzione del paesaggio e della “forma urbis” medievale degli insediamenti del Vulture, tipografia Olita, Potenza, 2004.
Sarno Emilia, Gli apprezzi: patrimonio per la riqualificazione delle aree interne del Mezzogiorno, www.cisge.it.
Fonti
1 Fonti a stampa
“Basilicata Regione Notizie”, n 134-132, La provincia di Potenza nelle carte aragonesi della seconda metà del XV secolo, pp. 158-159.
2 Fonti di archivio
Archivio di Stato Napoli:
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.1, fasc.22, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.52, fasc.15, Platea generale dell’amministrazione del Principe di Torella in provincia di Basilicata del 1835, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.124, fasc.17, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.182, fasc.6, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.222, fasc.27, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.225, fasc. 7, Relazione dell’apprezzo di Ruvo redatta dall’ingegnere Agostino Caputo nel 1740 e 1760 dell’ingegnere Miano, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
-ASN, Caracciolo di Torella (famiglia), b.226, fasc.1, in Romano, Gli apprezzi e le platee dell’Archivio Caracciolo di Torella, cit.
Archivio di Stato Potenza:
– ASP, Corporazioni religiose opere pie (Ruvo del Monte), n.158.
Archivio storico del Comune di Ruvo del Monte:
– Miscellanea, b.20, fasc. 13, Istituzione di beneficenza – Inventario dei beni immobili patrimoniali.
-Miscellanea, b.20, fasc.15, Questionari speciali per l’inchiesta sulle varie forme di erogazione della beneficenza (Questionario per i monti frumentari).
Archivio Parrocchiale della chiesa di Santa Maria Assunta (Ruvo del Monte):
-Platea del Convento di San Tomasso del 1756.
Complimenti e grazie al dott. Massimiliano Mattei. Ha fatto un lavoro eccellente ricostruendo, per un lungo arco di tempo, la “storia” di Ruvo del Monte. E’ un bel regalo non solo ai Ruvesi, ma anche a tutti i meridionali. I momenti difficili si superano conoscendo ciò che è avvenuto nel passato dal punto di vista politico, economico e sociale e raccordare tali conoscenze nelle scelte da fare per il futuro.